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domingo, 6 de diciembre de 2015

La perdita della memoria. Intervista a David Becerra Mayor

Written by Matteo Di Giulio
Cuéntame.it  

Presentati ai lettori di Cuéntame: chi è David Becerra Mayor?
Sono professore di letteratura spagnola contemporanea presso l’università autonoma di Madrid, oltre che responsabile della sezione Estetica e letteratura della Fundación de Investigaciones Marxistas e critico letterario per diverse testate. Sono autore dei saggi La novela de la no-ideología (Tierradenadie, 2013) y de La Guerra Civil como moda literaria (Clave Intelectual, 2015), co-autore di Qué hacemos con la literatura (Akal, 2013), e curatore delle edizioni critiche di La consagración de la primavera di Alejo Carpentier e di La mina de Armando López Salinas, uno dei romanzi più significativi del realismo sociale spagnolo, che abbiamo potuto presentare per la prima volta senza la censura imposta dal regime franchista.

Nel 2015 hai pubblicato il saggio La guerra civil como moda literaria. Di che cosa parla?
Negli ultimi decenni sono stati pubblicati molti romanzi che parlavano della Guerra civil spagnola (1936-1939). E questa è, all’inizio, una buona notizia. Quando muore Franco (1975) e comincia la Transizione le élite che la portarono a compimento spinsero la popolazione a dimenticare il passato, a chiudere vecchie ferite – nonostante non si fossero cicatrizzate – per remare tutti insieme verso il futuro. La società che nasce dalla Transizione è una società privata della memoria. Considerando questo, che si pubblichino tanti romanzi sulla Guerra civil è un’ottima notizia. Era necessario analizzare il fenomeno, provare a spiegare perché nasce e, soprattutto, osservare come e quali sono le spiegazioni della Guerra civil che offrono i romanzi che si pubblicano oggi; e, al tempo stesso, come si mette in relazione questo passato con il presente dal quale lo si rilegge.


Perché hai pensato che fosse necessario scrivere questo libro? E perché, secondo te, nel 2015 si continua a parlare tanto della Guerra civil?
Era necessario scrivere questo libro perché quando uno comincia a leggere i romanzi sulla Guerra civil che si scrivono e che oggi si pubblicano immediatamente si sente costretto a ridimensionare l’euforia con la quale viene descritta. Non c’è niente da celebrare. Perché in molti di questi romanzi, la Guerra civil non è che uno scenario. La Guerra civil funziona come sfondo per trame d’amore, di passione e morte, ma a malapena si tenta di mettere in luce, in questi romanzi, le cause storiche – politiche e sociali – che portarono al conflitto. La guerra viene depoliticizzata allo stesso ritmo in cui la Storia, in questi romanzi, viene destoricizzata. All’improvviso quelli come noi, che avevano bisogno di un racconto del proprio passato, per combattere l’amnesia politica e sociale che nasce a partire dalla Transizione, si rendono conto che la Guerra civil si era trasformata in uno scenario comodo e affascinante. Tuttavia continua a esserci qualcosa di buono in questo fenomeno: significa che la società spagnola attuale non è più la stessa nata durante la Transizione; la società spagnola ha già perso la paura di ricordare il passato, di ricostruire la memoria, di guardare avanti. Che ci sia richiesta di romanzi sulla Guerra civil è un fattore che lo indica; altra cosa invece è, come sostengo, che questi romanzi debbano essere in realtà romanzi della memoria storica e che raccolgano le potenzialità della memoria per una trasformazione sociale; invece che, come accade nella maggior parte dei casi, la memoria storica sia smarrita in favore di una sorta di nostalgia, che permette al lettore di evadere dal presente per occuparsi di un passato conflittivo – molto adatto a una trama narrativa –, ma che svanisce appena si chiudono le pagine del romanzo.

Credi i romanzi sulla Guerra civil siano una scorciatoia per editori e scrittori per arrivare più in fretta a buone vendite?
graffa La Guerra civil funziona come sfondo per trame d’amore e di passione, ma non si tenta di metterne in luce le cause storiche
I bestseller – e molti di questi romanzi rispondono a quest’etichetta – non sono innocenti e ancora meno privi di ideologie. I bestseller captano molto bene quali sono i problemi di una società, i suoi interessi e i suoi interrogativi, e sanno trasportarli in forma di romanzo. Tuttavia, invece di mettere in luce le contraddizioni che generano i problemi e di provare a offrire soluzioni radicali, i bestseller fanno svanire queste problematiche per mezzo di una soluzione immaginaria, che sia accettata dal sistema stesso. Nel caso concreto, invece di far vedere la Guerra civil come la conseguenza di un colpo di stato fascista che attenta contro un governo democratico e legittimo preferiscono il messaggio secondo cui tutti gli uomini sono essenzialmente cattivi (questa è solo una delle strategie utilizzate in questi romanzi) e che per questo decidono di imbarcarsi nella guerra. I sentimenti astratti, come il Male, sostituiscono le cause politiche.
Dopo la premessa, rispondo alla tua domanda. Questi romanzi nascono perché, come dicevo prima, la società spagnola è cambiata e non è più la stessa della Transizione. La società spagnola perde la paura di Lot, sa che non si convertirà in una statua di sale se guarderà alle proprie spalle. Nell’anno 2000 viene fondata la ARMH (Asociación por la Recuperación de la Memoria Histórica) e nel 2007 il governo Zapatero approva una legge sulla Memoria storica che anche se secondo me, e non solo, è chiaramente insufficiente, accoglie un'istanza dal basso dei cittadini. La Spagna chiede memoria e comincia a volere libri, a cercare risposte anche nei romanzi. Quando sorgono domande, si pubblicano libri, più opportunisti che opportuni, per disattivare il potenziale rivoluzionario delle possibili risposte. Pertanto è una scelta sicura per scrittori ed editori, visto che sanno che il tema è d’interesse, ma soprattutto che si può spendere, anche politicamente, in favore del potere costituito, che attraverso la letteratura prova a spegnere quanto di rivoluzionario c'è nella memoria.

A partire dal titolo, molto diretto, dai l’idea che questi romanzi non ti piacciano. Ce n’è qualcuno che, invece, ti pare si elevi sopra la media meritando di essere letto?
Non credo che sia una questione in cui entrano in gioco i gusti – né che dovrebbero entrarci – per arrivare a un giudizio critico. Il gusto è un fattore soggettivo che non deve mai modificare, per niente, il giudizio obiettivo del critico (diverso è come si costruisce il gusto e perché ci piacciono i romanzi che ci piacciono, un argomento che sarebbe interessante studiare). In La guerra civil como moda literaria non introduco alcun giudizio personale; al contrario, cerco di dimostrare come la letteratura si relazioni con il pensiero egemonico di uno specifico periodo storico – in questo caso, il presente – e come il dibattito, oltre a essere letterario, ne realizzi una perfetta riproduzione e lo legittimi ideologicamente. Romanzi come Soldati di Salamina di Javier Cercas, per esempio, compiono molto bene questa funzione; però ci sono anche opere che si confrontano con la forma dominante del racconto, come nel caso di ¡Otra maldita novela sobre la Guerra Civil! di Isaac Rosa.

Il romanzo storico può aiutare la gente che ha terminato da tempo gli studi o a cui non piace la saggistica a imparare qualcosa del passato. Al contrario, un romanzo scritto male può inficiare la realtà dei fatti e offrirne un’immagine sbagliata. Pensi che il fiorire di romanzi sulla Guerra civil abbia migliorato o peggiorato la conoscenza di quel periodo?
Ci troviamo di fronte al precetto classico dell’«insegnare, intrattenendo»: una persona si diverte mentre legge un romanzo storico e per di più quando finisce il libro è convinto di aver imparato qualcosa della Storia. Questi romanzi compiono una doppia funzione: insegnano e intrattengono. Però c’è una terza opzione, che è in realtà la più importante: non solo si falsa il passato, convertendolo in uno scenario e cancellando il tessuto politico e sociale per trasformare il conflitto in conflitto individuale, morale oppure astratto; ma addirittura che arriva a modificare la nostra concezione del presente e la relazione che ha il presente con il passato narrato. Mostrando il passato come qualcosa di lontano, quasi mitico, il lettore pensa che non gli appartenga, che non abbia nessun legame con il presente, quando in realtà il nostro presente continua a vivere del passato. Ma al tempo stesso, in contrapposizione con ciò che si legge, con i conflitti della Guerra civil, il nostro presente ci sembra «noioso e democratico», così dice una scrittrice: mansueto, docile, ecc. Questi romanzi, allora, sono concepiti come una forma d’evasione dal nostro presente grigio e prosaico e come un modo di vivere avventure pericolose e affascinanti che sarebbe impossibile vivere oggi; ma, come dice il professor Juan Carlos Rodríguez, i romanzi di evasione sono sempre romanzi di invasione, perché tramite loro ci invade l’ideologia dominante, e l’ideologia dominante ci ricorda sempre che stiamo vivendo nel migliore dei mondi possibili. Questi romanzi sono programmati affinché il lettore esca, a fine lettura, intriso di questa sensazione, ed esclami: «Cavolo, che fortuna che non mi è toccato vivere in quel periodo e che vivo nel pacifico (sic) XXI secolo!».

Com’è, a parer tuo, la situazione della critica letteraria in Spagna?
In Spagna, come in qualsiasi altro posto del mondo capitalista, c’è una nozione dominante di letteratura che si riproduce tanto nella critica universitaria che in quella letteraria nei vari mezzi di comunicazione. Si concepisce la letteratura come discorso autonomo, neutrale, innocente, che è capace di trascendere la stessa realtà storica in cui vive. La letteratura è sempre uguale a se stessa, da Omero fino a oggi, passando per Don Chisciotte. Tuttavia esiste anche – e ha guadagnato visibilità grazie alla crisi, quando è stata messo in dubbio l’egemonia capitalista – una critica che vorrebbe riportare con i piedi per terra la letteratura, che intende il testo letterario come un discorso storico che partecipa alle tensioni politiche e sociali dell’epoca in cui nasce. Abbiamo, in Spagna, ottimi maestri, come Juan Carlos Rodríguez o Julio Rodríguez Puértolas. E i loro discendenti, nei quali mi annovero anch'io, stanno lavorando molto e molto bene in questa direzione, mettendo in relazione la letteratura con la sua storicità.


A cosa stai lavorando in questo momento?
È stato pubblicato da pochi giorni un libro che ho curato: Convocando al fantasma. Novela crítica en la España actual (Tierradenadie, 2015). È un saggio collettivo che prova a offrire una visione d’insieme sulla narrativa critica e dissidente in Spagna. Nella Spagna d’oggi esiste una narrativa dominante che distrugge le contraddizioni radicali del sistema e interpreta i conflitti che il capitalismo produce in chiave individuale, psicologica o morale, dove l’impronta di ciò che è politico e del sociale si annulla. Però c’è un’altra letteratura. Una letteratura che non ha interesse a cancellare le contraddizioni, ma a farle emergere nel tentativo di farle esplodere. C’è una letteratura critica, dissidente, di opposizione al capitalismo: una letteratura che continua a evocare il fantasma. Perché, come dice Belén Gopegui nel suo ultimo romanzo, El comité de la noche, «scrivere è evocare il fantasma».

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